Afran. Il nudo è morto. L'abito è il monaco

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AFRAN

IL NUDO E’ MORTO

L’abito è il monaco

A cura di Susanna Gualazzini e Carlo Scagnelli

 

 

Galleria Biffi Arte PIACENZA

Salone d’Onore e Sala delle Colonne

5 Settembre - 7 Novembre 2020

Inaugurazione Sabato 5 Settembre, ore 17

In mostra alla Galleria Biffi Arte dal 5 settembre al 7 novembre, gli esiti recenti

dell’ispirazione di Afran, artista originario del Camerun ma dalle multiformi radici

culturali. Padre della Guinea Equatoriale, una moglie italiana, un pezzetto di vita in

Spagna e da anni in Italia, Afran ha avuto una formazione “occidentale”, ma non ha

mai perso di vista il dna della sua cultura d’origine. Che è poi quella Fang di cui,

all’inizio del ‘900, si innamorarono Picasso e Modigliani.

Per lungo tempo la pratica artistica con materiali multiformi e, pochi anni fa, la scelta

quasi esclusiva di un materiale non proprio ortodosso: il denim. Tessuto global e

metamorfico, il jeans incorpora tante latitudini e una storia di lungo corso: già nel

‘500 un blu ottenuto dal guado (una pianta tintorea di origine africana), veniva

utilizzato a Genova per tingere la tela destinata alle vele delle navi e usata per coprire

le merci durante il loro trasporto, oltre che per i vestiti dei marinai. Tessuto ideale per

la realizzazione di pantaloni da lavoro (prediletto, alla metà dell’Ottocento, dai

cercatori d’oro, dai cow boy e dai minatori), a partire dagli anni Sessanta del

Novecento il jeans si fa icona di protesta antiborghese per rinascere, verso la fine

degli anni Ottanta, come outfit glamour, con una nuova identità e in lussuose

contaminazioni.

Con questo complesso pedigree antropologico, nelle mani di Afran il denim si fa

materiale plastico, humus ideale di espressione: l’artista predilige quel jeans su cui è

rimasta in qualche modo imprigionata la memoria del corpo che lo ha abitato e con

questo outfit sformato, sbiadito, slabbrato, strappato, taglia, ricuce, intarsia e scava

nella carne del tessuto. Con una prodigiosa pratica del montaggio, rifila tracciando

nuove tramature, privilegiando le superfici più scabrose, quelle più disturbate da

cuciture, passanti, tasche, fibbie. Ed è così che il jeans (e il suo pantheon di accessori)

cambia fatalmente di segno, perde la sua democratica disinvoltura e si fa forma

scultorea. Nascono icone forti, spesso, come le definisce l’artista stesso “urlanti”,

eventualmente spaventevoli, figlie di ingegnosi sistemi di annodamenti e incastri, in

una estetica del montaggio, dell’uso e del riuso che guarda alle avanguardie artistiche

di primo Novecento, rinnovandone alcuni esiti.

Questa è la tecnica, ma è soprattutto la strada che porta Afran a compiere una

riflessione sul tema dell’identità, che da sempre gli è caro, proprio partendo dall’abito

inteso come metafora e come luogo di possibili trasmigrazioni semantiche. Se, come

in un gioco di scatole cinesi, il corpo abita un abito che è poi a sua volta involucro

che abita il mondo, allora il vestito può essere il palinsesto su cui tracciare la sintassi

della identità

Ma nel momento in cui questo involucro si fa sostanza, anima e carne viva

dell’uomo, allora è in atto una perdita che non può che essere, appunto, spaventevole.

Perché dichiarare la morte della nudità, parafrasando l’annuncio nietzschiano “Dio è

morto”, significa congedare la più intima parte di noi stessi.

Con questo materiale rinnovato, Afran, per la prima volta e proprio in occasione di

questa mostra, esplora un nuovo campo tematico e attinge alla classicità che tanta

parte ha avuto nella sua formazione: il jeans incontra il volto di un David che viene

da lontano, è quello di Michelangelo, o si innerva nelle morbidezze della Venere di

Milo o nella durezza del volto di Eracle. Oppure, e qui ancora una volta Afran

sperimenta e combina i linguaggi, compare dietro la griglia di colate cromatiche, nei

lavori a parete (Venere della sobrietà).

Completano il percorso espositivo due famiglie di istallazioni: i due Sartropodi in cui

ancora una volta l’artista sperimenta con i processi del ready made, e l’enorme

Scheletro di niente: il poetico assemblaggio di grucce appendiabiti si dispiega nello

spazio del Salone d’Onore della Galleria, come una sorta di gigantesco fossile: le

grucce vuote raccontano ancora una volta la storia di una assenza. L’abito se ne è

andato, lasciando dietro di sé la traccia nostalgica della sua transitoria ed effimera

esistenza.

La mostra è stata organizzata in collaborazione con la Galleria MA-EC (Milan Art & Events

Center) di Milano

La Galleria Biffi Arte nasce a Piacenza nel 2009 per desiderio del Presidente di Formec Biffi azienda leader nel settore alimentare, che nella creazione della Galleria testimonia e mantiene vivo lo storico legame tra il marchio Biffi, Milano 1852 e il mondo dell'arte: fu proprio intorno ai tavolini del Caffè Biffi, infatti, che Marinetti, Balla, Depero diedero vita al movimento Futurista, che avrebbe influenzato tanta cultura del Novecento. Nel corso degli anni Biffi Arte si è trasformata in polo culturale aperto all’espressione di tutte le arti, ponendosi come territorio di incontro fra gli artisti e la collettività, alla ricerca di una cultura libera e innovata. Per questo motivo nel programmare le proprie attività, Biffi Arte coltiva un’ampia pluralità di iniziative promuovendo, accanto all’allestimento di mostre, conferenze e incontri con filosofi, autori, critici e pensatori, eventi speciali, concerti e performance in collaborazione con istituzioni italiane e straniere.

L’azienda Formec Biffi

Biffi Arte è parte di Formec Biffi, un’azienda dal cuore lombardo ma attiva sui mercati del mondo. Orientata all’innovazione e alla sperimentazione del gusto, da sempre Formec Biffi guarda con speciale attenzione al mondo dell’arte, trovando nella sponsorship delle arti un territorio espressivo privilegiato per iniziative pubbliche offerte alla cittadinanza. E lo spirito che la sostiene è il principio per il quale le imprese possono svolgere un ruolo fondamentale per la promozione e la diffusione della cultura, aiutando anche e soprattutto i giovani artisti a diventare protagonisti del loro tempo.

“ La forza della nostra Galleria sta nel sodalizio che riesce a ospitare: è l’incontro fra le arti nella pluralità dei loro linguaggi, alla ricerca di percorsi trasversali, inattesi, sempre nuovi.

A questo incontro, estraneo alle logiche del profitto, le porte di Biffi Arte saranno sempre  aperte ”

Pietro Casella, fondatore di Formec Biffi